Architetto, ricercatore e artista transdisciplinare, Ugo La Pietra ha dedicato la propria ricerca alla comprensione e al disvelamento dei rapporti di potere insisti nel nostro ambiente urbano. Nel corso degli anni, in particolare riguardo a Milano, La Pietra ha osservato il lento cambiamento della città, con lo sviluppo di nuovi quartieri, di nuove tecnologie e nuove forme di organizzazione della vita quotidiana. Con la serie “Città senza Morale” a fare da sfondo, in questo articolo l’architetto riflette sulle contraddizioni della metropoli lombarda, nonché sui modi in cui queste possono essere rivelate e messe in discussione.

 

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Ieri come oggi, non ho potuto fare a meno di esprimere il mio disagio all’interno della nostra società repressiva. La ricerca sul “Sistema disequilibrante”, già sviluppata a metà degli anni Sessanta, ne è l’espressione più evidente. Dal segno all’intervento ambientale, si tratta di una serie di operazioni estetiche volte a rivelare l’esistenza di quegli schemi precostituiti che, senza che ce ne accorgiamo, influenzano la nostra vita quotidiana, offrendo nel contempo occasioni di rottura all’interno della base programmata. 

Rispetto alla generazione degli anni Sessanta, che aveva difficoltà a operare “nel sistema” che gli veniva imposto, la mia posizione non fu, e non è ancora, quella del rifiuto ad operare nella società (allora si diceva “autocastrazione”), né quella di evadere (utopia); ma quella di operare nella critica, nella decodificazione, nel disvelamento dei meccanismi di organizzazione dello spazio, privato e collettivo, “espressione fisica del potere”.

Riflettere sullo spazio abitativo è stato, anche, guardare ai possibili “rari” spazi di libertà (“gradi di libertà”) che ho potuto leggere nella periferia urbana, dove il sistema risultava (e risulta) meno efficiente. Le esplorazioni degli “itinerari preferenziali” o le ricognizioni, fatte a partire dalla fine degli anni ’60, riguardanti il fenomeno degli orti urbani – creati riutilizzando gli scarti della produzione industriale all’ombra dei condomini dormitorio milanesi – sono un esempio concreto della volontà di sopravvivenza espressiva dell’individuo rispetto ai regimi comportamentali che il sistema impone attraverso l’ambiente urbano.

 

 

Da queste prime analisi urbane sono scaturite riflessioni e metaprogetti orientati a prendere possesso dello spazio collettivo. “Abitare è essere ovunque a casa propria”, è lo slogan che sintetizza tutta la mia ricerca, ancora oggi attuale. Così, tutte le mie opere, dagli anni sessanta a oggi (disegni, quadri, performance, film, video, pubblicazioni…), sono state e continuano a essere condizionate dal mondo esterno, da ciò che mi circonda, dal vivere quotidiano.

Sono opere che rispondono alle contraddizioni della nostra società: ad esempio tutte le installazioni, i film e le strumentazioni della “Casa Telematica” (esposta al MoMA di New York nel 1972 durante la mostra Italy: The new domestic landscape) mettevano in luce il “sistema di informazione e comunicazione”. Sistema che in quegli anni doveva essere liberato dalle imposizioni, attraverso nuove strumentazioni (anticipazione di quello che sarebbe diventato Internet). 

Oggi parlo di nuovi modelli urbani, “Gazebi”, che sto progettando in questi giorni per superare l’esasperata pressione urbana: eccesso di rumore, eccesso di persone, eccesso di inquinamento, eccesso di traffico… Da tempo (vedi “Arte per il sociale” degli anni Settanta, fino alla Biennale del 1978) vado dicendo che l’ambiente su cui intervenire è l’espressione della nostra società. Per cui “l’arte per il sociale” è ciò che si dovrebbe praticare.

È più che naturale che l’ambiente fisico rappresenti per l’operatore visivo il campo di sperimentazione ideale per intervenire. Ma è bene non dimenticare che il cosiddetto ambiente fisico è semplicemente la formalizzazione di tutta una serie di contraddizioni che esistono all’interno della nostra società. Per fare un esempio: da più di trent’anni un’enorme popolazione urbana (che va dai 16 ai 40 anni e oltre) trascorre molte ore del proprio tempo, dalle 19 alle 4 del mattino, nello spazio urbano; tante persone che stanno insieme “per stare insieme” (la chiamano “movida”). Ho scritto molto su questo fenomeno comportamentistico, che ho descritto con la frase “viviamo affollate solitudini”. Un fenomeno che negli ultimi decenni ha modificato il comportamento di una enorme massa di individui urbanizzati; comportamento che ha condizionato lo spazio urbano facendo crescere in modo esponenziale bar e ristoranti, modificando l’uso dello spazio fino ad arrivare a forme di inquinamento dello spazio abitabile, dall’inquinamento acustico a quello del traffico, eccetera. 

Da simili riflessioni nasce l’idea della “Città senza morale”, una serie di opere in cui il dialogo tra foto, collage e testi tenta di esprimere, condensandola in immagine, le contraddizioni che l’avanzare della città contemporanea esprime con sempre più evidenza. Come spiega il testo introduttivo al progetto: “La città, regolata da strutture decisionali ed operative, è ormai organizzata attraverso una serie di sistemi all’interno dei quali le relazioni tra i livelli decisionali di intervento politico-economico ed il contesto sociale di base esprimono mediante meccanismi di coartazione dei bisogni e delle aspirazioni reali dei gruppi sociali. Giorno per giorno perdiamo sempre più la capacità di recuperare i significati e i valori all’interno della scena urbana, nella quale il nostro occhio non vede altro che segnali a cui uniformiamo automaticamente il nostro comportamento”.

 

 

La particolare autorità morale che la società del consumo riesce ad esercitare sulla popolazione, mediante gli strumenti di informazione e attraverso l’imposizione di una fisicità urbana che non lascia nessun grado di libertà e di intervento per la partecipazione alla definizione e trasformazione della stessa, ci costringono ad un’attività nella quale viene a mancare qualsiasi comportamento creativo (individuale o collettivo). La città cresce in modo caotico, per la gente urbanizzata la città è un complesso di relazioni sconnesse, per gli urbanisti la città è fatta di mappe codificate, per il poliziotto la città è un insieme di crimini verificati dai bollettini radio, per i vigili la città è la rete di cavi sotterranei che collegano tutte le telecamere alla “centrale”, per il politico la città sono tanti voti.”

La “Città senza morale” è una città che trasforma un’isola pedonale (vedi l’esempio di via Paolo Sarpi a Milano) in un parcheggio di mezzi che quotidianamente riforniscono di merce negozianti all’ingrosso situati in pieno centro. La “Città senza morale” è una città che ha come suo progetto culturale di punta il “Fuori Salone”, dove tutto può succedere! La “Città senza morale” è una città che consente (per interesse economico) di realizzare un ridicolo giardinetto in Piazza Duomo (la piazza più importante e rappresentativa della città). Potrei andare avanti ancora molto!

Più la città senza morale avanza, più trasforma i rapporti tra individui e gruppi sociali. A Milano non si vedevano persone per strada (tutti lavoravano!); oggi Milano è un ristorante a cielo aperto. Gli artisti stavano tutti in un bar (il Giamaica o il Genis), li riconosciamo nella foto scattata da Uliano Lucas (con Fabro, Vigo, Ferrari, Manzoni, io stesso, …); oggi gli artisti di Milano sono centinaia di migliaia, ma spesso non si sono mai frequentati tra loro. La città era il luogo di famiglie allargate e forti comunità locali. Oggi, la struttura familiare è sempre più fragile, molti sono single e i rapporti di quartiere non esistono più: sotto le spinte del capitalismo e della globalizzazione, la città consiste sempre più in individui isolati che vivono precariamente, che si aggregano secondo ritmi imposti, ma senza il supporto strutturale ed emotivo che la città un tempo forniva.

Non sono osservazioni “cariche di nostalgia”, ma solo brevi letture che bastano a dimostrare la profonda trasformazione culturale della città. 

L’autore


Nato nel 1938, laureato in Architettura al Politecnico di Milano, dal 1960 si dedica a ricerche nelle arti visive e nella musica. Artista, architetto e designer e soprattutto ricercatore nella grande area dei sistemi di comunicazione. La sua attività è nota attraverso mostre, la direzione di diverse testate, la didattica negli Istituti d’Arte e nelle Università. Le sue opere sono presenti nei più importanti Musei internazionali.

www.ugolapietra.com

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