Per la realizzazione del suo documentario ‘Storie di Terre e d’Acqua: Adige Etsch’, Vittorio Curzel ha percorso a piedi le sponde del fiume Adige in direzione della sorgente, in un viaggio iniziato tra le valli affacciate sul mare adriatico e culminato alle porte della Mitteleuropa. In questo saggio, Curzel riflette sul potere del fiume sia come risorsa per le comunità che ne abitano le rive, che per aver spesso rappresentato un veicolo simbolico per la costruzione di distinte identità culturali.

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Quando cominciai a pensare al film “Storie di terre e d’acqua: Adige/Etsch”, sapevo che quello che avrei raccolto erano le immagini di un paesaggio eterogeneo e cangiante, il risultato di innumerevoli vicende, naturali ed umane, che nel corso del tempo hanno modellato le forme del fiume. Ho provato a raccontare l’eco di questa lunga storia e di questo continuo lavorio dell’acqua e degli abitanti delle terre del fiume, talvolta lento, altre volte drammatico e violento.

Percorrendo a piedi le rive dell’Adige e in parte navigandolo, ho intrapreso un viaggio che ha avuto inizio alla foce del fiume, ai margini del parco del Delta del Po fra Chioggia e Rosolina, ed è terminato alle sue sorgenti nei pressi del Passo Resia, a 1550 m di altitudine. Un viaggio di circa 410 km, tra il mare Adriatico e le Alpi, risalendo il percorso del fiume attraverso ambienti e culture diversi, dalla pianura veneta alle valli del Trentino e dell’Alto Adige/Südtirol.

Secondo fiume per lunghezza in Italia, un tempo navigabile dal mare fino alle soglie di Bolzano, l’Adige collega il mondo culturale italiano con quello tedesco, il Mediterraneo con l’Europa centrale. Il bacino idrografico del fiume, che ha una superficie pari a circa 12.100 km2, comprende 369 Comuni, nelle province di Bolzano, Trento, Verona, Vicenza, Belluno, Padova, Rovigo, Venezia e una piccola porzione nel Cantone svizzero dei Grigioni. La popolazione è di circa 1.320.000 abitanti.

La montagna più alta del bacino è l’Ortles (3902 m), nel Parco nazionale dello Stelvio. Nel bacino vi sono 185 ghiacciai (per una superficie complessiva di circa 128 km2), di cui 155 alimentano il fiume. In ambienti geomorfologici molto variegati, confluiscono nell’Adige le acque che scendono dai rilievi della regione Trentino Alto Adige/Südtirol e quelle del Rio Ram che percorre la Val Monastero in Svizzera nonché altri corsi d’acqua a carattere torrentizio in provincia di Verona, dalle pendici meridionali del Monte Baldo e dei monti Lessini, e più a est, a cavallo fra le province di Verona e di Vicenza.

Nel corso del tempo i grandi fiumi hanno rappresentato un fattore rilevante di sviluppo dei territori, in grado di condizionarne in modo spesso decisivo le vicende storiche, politiche sociali ed economiche. L’asta dell’Adige costituisce una struttura morfologica di primaria importanza in tutto l’arco alpino, in quanto attraversa la catena montuosa nella parte in cui essa sviluppa la sua massima ampiezza.

Al dì là dello spartiacque altri corsi fluviali (Inn, Lech, Iller) si irraggiano verso est e verso nord. Questa rete idrografica, unitamente a due valichi facilmente transitabili come il Brennero e Resia ha favorito fin dall’antichità il nascere di un complesso sistema di comunicazioni fra Mediterraneo ed Europa centro-settentrionale, grazie a una crescente domanda di circolazione delle merci e a un particolare contesto politico-istituzionale.

Il trasporto fluviale anche se meno regolare e potenzialmente più rischioso per le mercanzie, era più rapido e generalmente meno costoso di quello via terra, in particolare per merci pesanti e di grandi dimensioni. Fonti di fine Settecento parlano di zattere lunghe circa 12 metri, capaci portare un carico di 10 tonnellate.

Uno dei prodotti principali dello spazio montano è stato per lungo tempo il legno. Mercanti locali e forestieri organizzavano lo sfruttamento sistematico dei boschi trentino-tirolesi e i corsi d’acqua, fino all’avvento della ferrovia, rappresentavano il mezzo principale per il collegamento con i mercati di destinazione. L’acqua consentiva il trasporto a valle del legname, fluitato sui torrenti, poi raccolto dagli ‘zattieri’ e trasportato fino al mare, per la costruzione di Venezia e delle sue navi, ma richiesto in grande quantità anche dai centri urbani della pianura, come Verona, Mantova e Brescia. L’impiego delle zattere sull’Adige è documentato fin dal IX secolo.

Lungo l’Adige correvano anche antiche strade, come la via Claudia Augusta, itinerari percorsi da pellegrini, imperatori ed eserciti, scienziati e viaggiatori, ma anche da molti artisti: pittori, musicisti, poeti, scrittori. Fino al XIX secolo gli spostamenti di persone e merci da un luogo all’altro erano necessariamente lenti: a piedi, a cavallo, con carri e carrozze, a bordo di un’imbarcazione.

Anima Loci Vittorio Curzel

 

Nella seconda metà dell’800, la realizzazione della ferrovia del Brennero, ultimata nel 1867, la prima ad aver attraversato completamente le Alpi, in grado di trasportare velocemente e comodamente viaggiatori e mercanzie da Innsbruck a Verona, trasformò velocemente un mondo rimasto quasi immutato per secoli. Venne meno il ruolo del fiume come via di comunicazione e di lì a poco strade e sentieri di montagna si trasformarono in mulattiere per gli eserciti del primo conflitto mondiale.

Sull’Adige si affacciano importanti città e piccoli borghi rivieraschi, ricchi di beni culturali, artistici, ambientali. Il fiume e i suoi affluenti hanno avuto per secoli una parte centrale nella vita quotidiana delle comunità, fornendo cibo con la pesca, il pascolo lungo le rive, l’agricoltura nei campi irrigati, materia prima per la costruzione delle case, energia per i mulini e per le attività artigianali, una via di trasporto per le merci.

Il fiume ha rappresentato un elemento essenziale della geografia fisica e umana dei territori che attraversa anche per il suo influsso climatico. In particolare nella parte montana esso consente al clima mite mediterraneo di estendersi fino a Bolzano, a Merano e al loro circondario, conferendo a queste zone caratteristiche climatiche e meteorologiche peculiari. Tutto questo ha avuto evidenti ricadute economiche, basti pensare che l’Alto Adige/Südtirol e il Trentino nel giro di un secolo sono diventati un polo europeo di produzione della mela di alta qualità. Anche il turismo ha evidentemente tratto grande beneficio da queste condizioni climatiche.

Lungo tutto il corso del fiume, dalla sorgente al mare, si trovano alcuni fra i migliori terreni agricoli del nord Italia, con estese colture vitivinicole e ortofrutticole, dalle quali si ricavano vini e produzioni agroalimentari di pregio. Oltre che per l’irrigazione delle campagne le acque del fiume vengono oggi utilizzate anche per la produzione di energia elettrica (oltre 220 impianti, costruiti per la maggior parte fra gli anni Venti e Sessanta, sull’alto bacino del fiume).

Devastanti alluvioni (le due maggiori sono state nel settembre 1882 e nel novembre 1966; per quanto riguarda specificamente il Polesine nel novembre 1951), grandi opere di bonifica, di regimazione e rettifica dell’alveo, hanno più volte modificato il corso del fiume.

Nella parte planiziale, rilevanti interventi di sistemazione territoriale, di arginatura dei corsi fluviali e di eliminazione di anse e meandri, furono realizzati dalla Repubblica di Venezia fin dal secolo XVI, con l’intento da una parte di limitare il rischio di interramento della laguna e di favorire la navigazione interna, dall’altra di attenuare gli effetti di periodiche piene nonché di consentire un razionale sfruttamento agricolo del suolo.

Va inoltre ricordata la costruzione nella città di Verona, tra il 1889 e il 1894, di imponenti muraglioni, nonché la soppressione di alcuni dei rami in cui si divideva il fiume nell’attraversare l’abitato. Nella parte montana le maggiori operazioni ebbero luogo a partire dall’Ottocento, sia per la sua regolazione che per lo sfruttamento idroelettrico, per ampliare la superficie coltivabile e per la costruzione di infrastrutture di comunicazione. Fra queste azioni vanno citati la deviazione del corso dell’Adige nei pressi di Trento, con l’estromissione del fiume dalla città, i lavori di rettificazione del corso fra Merano e Rovereto, la costruzione di briglie per trattenere i materiali trasportati dalla corrente.

Anima Loci Vittorio Curzel

 

Tutti questi interventi non solo hanno gradualmente ridefinito il percorso del fiume (accorciando di alcuni chilometri la sua lunghezza), ma ne hanno modificato profondamente l’aspetto paesaggistico, le funzioni, il ruolo nell’economia dei territori e la percezione da parte degli abitanti, sebbene questa, a differenza di altri grandi fiumi europei, sia rimasta per secoli circoscritta per lo più all’ambito di insediamento di ciascuna comunità, anziché incorniciata in una visione d’insieme dell’intero corso d’acqua, dalle montagne al mare.

Il peculiare contesto geopolitico e la correlata suddivisione amministrativa del territorio fra varie signorie territoriali e successivamente, fino al 1919, fra diverse autorità statali, ha peraltro fatto sì che le stesse azioni di regolazione, siano rimaste per secoli parcellizzate e frammentarie. Ciascuna comunità e autorità locale cercava infatti di sfruttare le risorse del fiume nel modo più efficace e di contenere i pericoli con riferimento al proprio territorio, date le difficoltà di un disegno più ampio. Ciò ha dato luogo, nel corso del tempo, anche a contenziosi fra i territori, poiché interventi eseguiti a monte, per la soluzione di problemi locali, potevano comportare conseguenze negative e incremento dei rischi idrogeologici a valle.

Le grandi opere per la regolazione del fiume e la sistemazione del territorio del secolo XIX, in particolare nella sua parte alpina, rientrano a pieno titolo in un quadro di azioni ispirate dalla razionalità tecnica, dal positivismo e dalla fiducia nel progresso scientifico che caratterizzarono l’epoca e il suo clima ideologico-culturale. Si portò così a compimento un’operazione di distinzione fra acqua e terra e di separazione fra fiume e territorio, ponendo fine alla mescolanza dei due elementi che fino ad allora aveva contraddistinto “lo stato ibrido” della valle dell’Adige e il suo paludoso paesaggio, del tutto inadeguato all’ordine funzionale che lo spirito del tempo intendeva perseguire.

Tali interventi, strettamente interconnessi con grandi interventi di infrastrutturazione del territorio e di industrializzazione di numerose aree urbane, segnarono anche l’avvio di un processo di “nazionalizzazione” del fiume, in cui l’Adige, come le montagne che lo circondano nella prima parte del suo corso, diventarono il banco di prova di istanze nazionali e di rivendicazioni territoriali.

Nello stesso periodo, fra la seconda metà dell’Ottocento e gli albori del Novecento, l’Adige e la sua aura simbolica divennero argomento di dibattito accademico, con prese di posizione nazionalistiche anche in quel campo.

Da una parte celebri geografi germanofoni, come Albrecht Penck, che nel 1895 classificava l’Adige come “un vero fiume alpino”, che oltrepassando la Chiusa di Verona perdeva la sua natura e la sua forza al servizio delle culture agricole della pianura. Secondo il professore viennese l’unità indissolubile fra il fiume e la montagna nella parte del suo corso legata al mondo germanico, definiva la sua natura di “fiume tedesco” e le azioni di regolazione intraprese in Tirolo erano un atto di bonifica del territorio che “liberava” il fiume dalle paludi che a suo dire caratterizzavano la Penisola italiana e la stessa italianità.

Anima Loci Vittorio Curzel

 

Dall’altra parte e nello stesso anno, accademici di lingua italiana come Olinto Marinelli, invocando la teoria dello spartiacque, asserivano che la Nazione italiana avrebbe dovuto estendere i propri confini al di là delle frontiere linguistico-culturali, fino al crinale delle Alpi, considerato il limite naturale fondato su evidenze geomorfologiche che, a suo parere, dimostravano il legame che univa le montagne atesine alla pianura italiana. La geografia veniva dunque piegata alle esigenze della retorica nazionalistica e alle correlate mire espansionistiche, nell’ambito delle quali l’Adige era destinato ad assumere un ruolo significativo.

Al di là delle derive nazionalistiche che hanno preceduto la prima guerra mondiale, la particolare collocazione geografica del fiume e il suo farsi simbolo dei territori e delle diverse culture che attraversa, si è riflessa in numerose rappresentazioni artistiche di epoche precedenti.

Numerosi fiumi, nella storia delle culture europee, si sono trasformati fin dall’antichità in elementi naturali sacralizzati e in entità simboliche, diventando l’elemento caratterizzante, con forti valenze identitarie, di un territorio. Si pensi ad esempio al Danubio o al Reno. Ciò ha dato spesso luogo alla personificazione mitologica di questi corsi d’acqua, tramite rappresentazioni antropomorfe, protagoniste di opere pittoriche, scultoree e letterarie. Da tali rappresentazioni possono di volta in volta trasparire anche le diverse visioni del mondo e aspettative nonché i contesti storici, sociali e culturali di riferimento delle varie comunità.

Nell’iconografia occidentale i fiumi hanno preso solitamente la forma di figure maschili: talvolta giovani atletici (come nel caso della scultura del II o III sec. d.C., chiave dell’arco centrale di Ponte Pietra, a Verona), più spesso possenti e barbuti uomini maturi. Queste raffigurazioni di divinità fluviali, assai diffuse in età ellenistica e più tardi in età imperiale (si pensi alle statue del Nilo e del Tevere, entrambe risalenti al I sec. d.C., oggi rispettivamente nei Musei Vaticani e al Louvre), vengono abbandonate nel Medioevo per essere talvolta sostituite con l’immagine di santi che salvano dai pericoli delle acque (si vedano ad esempio alcune rappresentazioni di San Zeno, patrono di Verona), per poi ritornare in auge nel Rinascimento.

Nel caso dell’Adige, le rappresentazioni mitologico-antropomorfe in età moderna risentono della duplicità dei legami del fiume con le culture italiana e tedesca e della sua collocazione geografica. Lo sguardo di artisti e committenti infatti si focalizza talvolta sul tratto alpino, verso la sorgente, altre volte su quello di pianura, verso la foce.

Esemplari, per questo aspetto, sono due raffigurazioni. La prima è un dipinto a olio su tela della prima metà del Seicento, conservato a Bolzano nel Museo del Palazzo Mercantile. La seconda è un modello in legno dorato del Bucintoro veneziano del 1729, che si può ammirare a Venezia, nel Museo Storico Navale.

Il dipinto bolzanino, di autore anonimo probabilmente tirolese, è una lunetta destinata alla decorazione di una porta. Sotto l’emblema dell’arciduchessa d’Austria Claudia de Medici, sposa di Leopoldo V, due figure maschili sedute sulla roccia rappresentano i fiumi Adige (Athesis), a sinistra, e Inn (Oenus), a destra. Dalle anfore imbracciate dai due personaggi, su cui si possono leggere i nomi dei due fiumi, sgorgano rivoli d’acqua che confluiscono in un unico corso color oro, che a sua volta sfocia in un mare, sulle cui rive si intravedono i profili di città (qualcuno vi ha riconosciuto Bolzano) e su cui navigano imbarcazioni cariche di merci.

Un cartiglio alla base della tela invoca la benevolenza divina nonché protezione e fortuna per i traffici collegati alla navigazione sui due fiumi, che trovandosi al di qua e al di là del crinale alpino, contribuivano a mettere in contatto mondi lontani fra loro, come il Mediterraneo e il Centro Europa, facendo di Bolzano un centro strategico dei commerci fra Sud e Nord. In questa prima rappresentazione l’Adige è dunque accostato all’Inn, sottolineando in tal modo la sua natura alpina.

Sulla prora del Bucintoro lo troviamo invece a fianco del Po, con un esplicito richiamo alla collocazione padana di una consistente parte del suo corso. Come è noto il Bucintoro è una grande galea utilizzata dal doge della Repubblica di Venezia nella cerimonia pubblica dello “Sposalizio del mare”. In quella realizzata fra il 1719 e il 1728, riprodotta anche in una veduta dipinta dal Canaletto nel 1734 (“La festa dell’Ascensione”), compaiono, a fianco di uno dei due rostri di prua, due vecchi con barba, “due figure che sono li due principali fiumi dello Stato Veneto in Terraferma, Po l’uno, l’altro l’Adige che sboccano nell’Adriatico mare”, come riferisce Antonio Maria Luchini nella sua descrizione coeva.

La giustapposizione di queste due raffigurazioni dell’Adige forse può ben riassumere questa sua particolarità dell’essere al contempo “fiume italiano”, e “fiume tedesco”, per il ruolo rilevante che ha avuto nel corso dei secoli, pur nel mutare dei contesti geopolitici, per la storia sociale ed economica dei territori che attraversa, ma anche nella cultura, nella produzione simbolica e nelle costruzioni identitarie delle popolazioni che abitano lungo le sue rive.

Attraverso il racconto cinematografico dell’Adige e del suo paesaggio, cercando una difficile sintesi fra un proposito informativo/documentaristico e uno sguardo “poetico”, il mio intento è stato anche quello di contribuire alla costruzione di una narrazione unitaria, evidenziando il carattere europeo di questo fiume, che da millenni mette in relazione il mare Adriatico con i territori transalpini, lo spazio mediterraneo con l’Europa centro-settentrionale. L’acqua come via di comunicazione e di commerci, le terre come luogo di insediamento e di espressione di due civiltà, quella latina e quella germanica, di costruzione di paesaggi e di identità, il fiume come flusso che attraversa incessantemente nel corso dei secoli la “frontiera nascosta” linguistico-culturale, connettendo ciò che talvolta la contingenza storica ha diviso.

 

L'autore


Vittorio Curzel è psicologo e dottore di ricerca in scienze sociali (Università di Padova). È autore e direttore di film documentari, programmi radio RAI relativi alla musica per film (‘I suoni del cinema’) e alle musiche dei popoli nomadi del mondo (‘Canto Nomade. Musiche, parole e immagini di popoli in viaggio’), saggi. Ha progettato e coordinato il Centro di Documentazione Visiva di Trento. Ha insegnato nelle università di Bolodna e Trento, ed è stato direttore per l’attività di ricerca del territorio presso la TSM – Trentino School of Management – Scuola per il Governo del Territorio e del Paesaggio. Nel 2016 ha costituito Chorus FilmFactory, una compagnia dedicata alla produzione di film documentari.

Filmografia: 018, ‘Storie di terre e d’acqua: Adige Etsch’ (German vers. ‘Geschichten von Ländern und Wasser: Etsch Adige’); 2011, ‘Fino a quando …’ (‘Wie lange noch…’); 2006 ‘Nach Dresden’; 2000, ‘Art note book n.1: Paolo Tait’; 1994, ‘Canto dell’arte contro la guerra – To Sarajevo’

www.chorusfilmfactory.com

Footnotes & references

Gorfer A. (2002). L’Adige. Una storia d’acqua. Trento-Verona: Autorità di Bacino Nazionale dell’Adige – Cierre Edizioni

Jori F. (2009). L’ultimo dei barcari. Riccardo Cappellozza, una vita sul fiume. Pordenone: Biblioteca dell’Immagine

Mozzo M. (2014). Lungo l’Adige tra argini e ponti. In bicicletta sull’Anello dei Paesi Adesanti. Verona: Scripta Edizioni

Poli G. (1989). L’Adige. Storia e vita di un fiume. Venezia: Arsenale Editrice

Rovigo V. (a cura di), (2016). Il fiume, le terre, l’immaginario. L’Adige come fenomeno storiografico complesso. Rovereto: Accademia Roveretana degli Agiati – Edizioni Osiride

Turri E., Ruffo S. (a cura di), (1997). L’Adige. Il fiume, gli uomini, la storia. Verona: Cierre Edizioni

Volpato G., Piazzola P. (a cura di), (1984). Albaredo d’Adige: Un museo da costruire. Atti del Convegno sulla Navigazione dell’Adige 29.10.1983. Albaredo d’Adige (VR): Comune di Albaredo d’Adige

Werth K. (2014). Geschichte der Etsch zwischen Meran und San Michele. Flussregulierung, Trockenlegung der Möser, Hochwasserschutz. Bolzano/Bozen: Athesia

Wielander H., Ortner P. (1989). La val Venosta/Vinschgau, in AA.VV, (1989), Trentino-Alto Adige. Milano: TCI, pp. 87-105


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