Omaggio ad uno spazio che avrebbe potuto non sorgere mai: un lago emerso nel cuore di Roma durante gli scavi per un centro commerciale. In questo contributo, il fotografo Dario Li Gioi riflette su come l’ecosistema dell’area nota come ex- Snia-Viscosa offra oggi un contrappeso alla percezione pubblica e alle dinamiche culturali ed abitative della metropoli.

Keywords:

Era al di là di quello schermo d’umori volatili che il suo sguardo voleva giungere:
la forma delle cose si distingue meglio in lontananza.

Italo Calvino – Le Città Invisibili

 

Tutti sanno dov’è. Giace dietro a un muretto e ad una fila di alberi lungo la Prenestina, l’arteria consolare che già in epoca arcaica collegava Roma alla ricca città di Praeneste. Ma la storia di questo luogo è una storia moderna; e forse anche futura, avendo dato dimostrazione di una incessante capacità di rinascita. Come i cittadini del quartiere Prenestino Labicano ben sanno, mi riferisco all’area dell’ex Snia-Viscosa, a pochi chilometri a est dal centro di Roma. 

La prima volta che l’ho visitato, tanti anni fa, era primavera, il 25 Aprile. Ricordo che c’era un concerto: se ne tenevano spesso, finché parte dell’area non è diventata un parco naturale. Ma già allora, accedere a questo spazio dava la sensazione di entrare in un luogo altro, puntellato di indistinte macchie verde scuro e fabbricati in rovina. È ancor più vero oggi: i rumori si allentano, per un attimo la vista si posa sui palazzoni circostanti, come se cercasse una fonte di informazioni visibili più stabili.

 

L’area della Snia-Viscosa è innanzitutto quella di un ex-opificio: qui, per poco più di tre decenni, tra il 1922 e il 1954, si lavorava per imitare la qualità delle sete più pregiate, producendo la cosiddetta “finta seta”, la fibra in cellulosa più tardi conosciuta come rayon.

Situato in un’area in cui l’immigrazione economica da altre regioni italiane ne aveva profondamente alterato la mappa demografica, questo imponente complesso industriale – al tempo uno dei più importanti di Roma – aveva rappresentato, per gli operai e le loro famiglie, la promessa di un futuro a cui guardare. La fabbrica fu quindi anche luogo di comunità e di lotta: negli anni della sua esistenza, la Snia-Viscosa fu teatro di scioperi spontanei, proteste ed occupazioni; contro il caro-vita, per adeguamenti salariali, contro i licenziamenti.

Il 1949 ne è esempio impressionante, quando le lavoratrici – che, per decenni, rappresentarono circa il 70% della forza lavoro – occuparono la fabbrica per 34 giorni, ricevendo il sostegno degli abitanti di tutto il quartiere.

 

Come noto, quella promessa di futuro finì presto alle spalle. Nel 1954, la Snia-Viscosa chiudeva per sempre le sua attività. Da quel momento quest’area della capitale d’Italia conobbe per decenni una calma insolita, con la natura divenuta la sola custode di oltre centomila metri quadrati di terreno. Fu soltanto all’inizio degli anni ’90, dopo che l’area fu messa sul mercato, che emerse un altro potenziale destino per la zona. Il modo in cui questo avvenne fu però del tutto inaspettato.

Durante gli scavi per la costruzione di un centro commerciale, le ruspe della società Ponente 1978 ruppero una delle falde dei depositi del vulcano dei Colli Albani. Dal terreno cominciò a sgorgare acqua, acqua in maniera incessante, tanta da andare a riempire il vuoto creato da bulldozer e scavatrici. Così quel giorno, nell’area dell’ex Snia Viscosa, nacque un lago. I romani lo chiamano “lago bullicante”, in riferimento alle acque che sgorgavano dal terreno e alla presenza delle emanazioni gassose sulfuree che le facevano ribollire.

Di quell’incidente edilizio, in cui la natura in un attimo ricoprì lo spazio dell’attività umana, oggi rimane lo scheletro in cemento armato di ciò che era stato concepito come un parcheggio: viene fuori dallo specchio d’acqua, circondato da una boscaglia di robinie, salici, e dai fusti di cannuccia palustre impenetrabili.

 

In un certo senso, la città eterna è anche una città fluida. L’acqua scivola sotto la metropoli, con il linguaggio degli umani che ne evoca l’esistenza in superficie. L’area del lago Bullicante era zona di marrane – quei fossi a cielo aperto e non troppo profondi, in cui, ancora negli anni ’30 i bambini giocavano facendosi il bagno. Così la geografia dei segni in superficie è talvolta quella di un paesaggio liquido: via della Marrana, via della Marranella, via dell’acqua bullicante, Marrana dell’acqua mariana.

La città intera ne è qui e là puntellata: andando a sud, abbiamo ad esempio il Fosso dell’acqua acetosa, la Marranella di Grotta perfetta e quella delle tre fontane. Alcuni riferimenti sono spariti, cancellati dall’urbanizzazione, come il Fosso delle tre madonne, da circa un secolo ribattezzata via Sannio.1  

Tuttavia, l’acqua sembra persistere nell’immaginario comune come elemento originario. Persino radicale. Ci sono luoghi che prendono vita in maniera sorprendente: il loro spazio si modifica, o viene modificato, in una continua contesa tra l’attività umana e la natura che opera incurante delle nostre azioni. E nel caso del lago Bullicante, il conflitto trova la sua massima espressione proprio nell’acqua, elemento vivente, attivo e combattivo. Come cantano gli Assalti Frontali ne Il lago che combatte: “In mezzo ai mostri de cemento / St’acqua mo’ riflette er cielo / È la natura che combatte / E ‘sto quartiere è meno nero”.

 

Grazie alla comparsa del lago, l’area dell’ex Snia-Viscosa è infatti diventata uno dei pochissimi casi conosciuti di rinaturazione spontanea avvenuti in Europa. Ora nell’area verde ci sono oltre 350 specie botaniche spontanee, quattro habitat tutelati dalle norme europee a difesa della biodiversità, quasi novanta specie di uccelli, e trenta di libellule, un terzo di tutte quelle presenti in Italia.

Come spiegato in un articolo su L’Essenziale, l’area si colloca inoltre su “direttrici di spostamento frequentate dagli uccelli” e ha “una funzione di stepping stone (una piccola zona isolata ma dalla posizione strategica in una rete ecologica) per numerose specie che la frequentano come luogo di sosta e alimentazione”.2 All’interno dell’area, si trova anche un apiaro didattico, che ogni anno produce il miele.

Gli attivisti lottano affinché tutto rimanga così, a protezione della flora e della fauna. E l’area stessa sembra muoversi in questa direzione: come mi ha fatto notare un attivista, il lago gode di un perimetro di accesso molto limitato. Girandoci attorno, l’occhio è catturato da scorci confusi, ostacolato dalle fitte sterpaglie che fungono quasi da barriera protettiva. È noto che il lago si trova lì – tutti sanno dov’è – ma non è facile percepirlo, non è immediato comprenderlo.

 

Siamo in uno spazio che vorrebbe proiettarsi verso la città, diventarne parte, venirne protetto: l’area potrebbe essere luogo di natura ed aggregazione, fondamentale per un quartiere ad alta densità demografica e purtroppo anche ad alto tasso di inquinamento. Tuttavia, l’area è separata dalla città da interessi economici.

Si potrebbe pensare che lasciare l’area così com’è sia un desiderio semplicemente irrealizzabile in una città come Roma, che tende a fagocitare tutto ciò che non è affarismo. “Tutta area ex Snia monumento naturale subito”, è la scritta che campeggia sul muro est, affacciata sul traffico di via Portonaccio. Parte dell’area, quella immediatamente limitrofa al lago, è infatti privata e, recentemente, il proprietario ha ottenuto il permesso a costruire.

Il lago vive dunque sospeso: sa che esiste alle sue spalle il parco delle Energie, già tolto alla speculazione. Ma anche che il blocco dei capannoni potrebbe presto essere trasformato in un polo di edifici con varie funzioni. Inizialmente doveva diventare un centro logistico; oggi, pur essendo quella possibilità caduta, c’è comunque l’intenzione a costruire, con la conseguente, praticamente certa distruzione del microclima creatosi in questi decenni.

 

Ma che luogo è, allora, il lago bulicante? Per molti la possibilità che questa zona rimanga intatta non è altro che un’utopia. Ma se l’utopia può essere classificata come l’ideale di una società migliore e dunque luogo fondamentalmente irreale, lo spazio del lago Bullicante si può forse definire nel suo inverso, nel senso di qualcosa che è invece ben radicato nel qui e ora: un’eterotopia.

Come teorizzava Michel Foucault, le eterotopie sono infatti “una sorta di contro-luoghi”, dove i “luoghi reali che si trovano all’interno della cultura vengono al contempo rappresentati, contestati e sovvertiti”.3 La forma delle eterotopie varia enormemente; ma è qui particolarmente interessante quel tratto per cui esse possono svolgere una funzione in relazione a tutto spazio che le circonda.

Esistono, in sostanza, alcuni spazi che hanno “la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l’insieme dei rapporti, che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano”. È dunque precisamente questa “nicchia dello spazio che si differenzia sostanzialmente rispetto a tutti gli altri spazi”, che fa emergere, rendendolo evidente, il razionale in cui è organizzato quello che rimane.4

 

In questo senso, se le utopie tendono a consolare perchè irrangiungibili, le eterotopie inquietano perché si fanno concrete, tendono a creare fratture spaziali cariche di significato. Sono queste fratture che generano azione.

L’ex Snia Viscosa può allora essere vista come uno di quei luoghi di “resistenza e di mutualismo, dove i rapporti di mercato che tendono alla colonizzazione parassitaria dei luoghi restano esclusi”.5 È come se lo spirito della vecchia fabbrica riemergesse dal passato, nel senso di un collettivismo diffuso e di uno spirito di lotta. Qualunque spazio, infatti, non è forse il prodotto dei rapporti di potere e delle lotte fatte per definirlo? 

In fondo è nello spazio che circola il potere e circolano i saperi. E la memoria: la memoria di un luogo è quello che siamo e che siamo stati. Gli operai, la guerra, i bombardamenti, l’abbandono, le lotte; ed ora il lago. È il suono della vita del luogo che si espande incessante. Questo specchio d’acqua inteso come spazio è oggi al centro di una lotta; per mantenersi luogo altro, come difesa di diritti basilari per gli esseri umani, normalmente rassegnati alle logiche di mercato. 

I luoghi raccontano. Creano mappe. Questa è la mia mappa, tra osservazione antropologica e trasfigurazione simbolica. Il ritmo circolare delle stagioni definisce il ritmo della vita, ed influenza gli stati d’animo. Quando entri qui, il fuori resta fuori, il solito rumore al di là delle mura di cinta della vecchia fabbrica. 

L’autore


Dario Li Gioi è nato a Erice (Trapani) e lavora come fotografo freelance a Roma. Nel 2016 ha fondato il Collettivo L.I.S.A. con Santolo Felaco e Gian Marco Sanna. Nella sua fotografia esplora temi sociali e antropologici. Ha studiato fotografia documentaria presso Officine Fotografiche, Roma e ha continuato presso WSP Photography, Roma. Il suo lavoro è stato pubblicato in libri e riviste tra cui, L’Espresso, D di Repubblica, Phaidon, Premio Nobel, Witness Journal, Lensculture, Vice Italia, e Click Magazine. La sua serie Gymnasium ha vinto il primo premio alla categoria sport del MIFA nel 2015, ed è stata esposta nel 2016 alla WSP Photography, Roma, Italia, e nel 2019 allo Studio Tiepolo 38, Roma, Italia. Nel 2021, il suo progetto The Hidden Zoo è stato selezionato come finalista per lo Short Story Award del Festival della Fotografia Etica.

www.darioligioi.org

Note

[1] A view of via Sanno in 1868, Roma Ieri e Oggi, https://romaierioggi.it/via-sannio-ettore-roesler-franz-1868/, (ultimo accesso 18/10/23)

[2] Ylenia Sina, Il lago nel cuore di Roma che rischia di scomparire, https://www.internazionale.it/essenziale/notizie/ylenia-sina/2023/01/19/lago-ex-snia-roma (ultimo accesso 10/10/23)

[3] Michel Foucault, Eterotopia, Mimesis, Milano-Udine, 2010, p. 12

[4] Ibid.

[5] A. Zabban, L’eterotopia nel pensiero di Foucault, https://www.ilbecco.it/leterotopia-nel-pensiero-di-foucault/ (ultimo accesso 14/10/23)

 


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